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Tra shooting tra Roma, Milano e Firenze, Aurora Ace è diventata un volto sempre più riconoscibile nella fotografia artistica italiana. Di origine asiatica ma cresciuta in Europa, incarna una bellezza che sfugge alle definizioni semplici e propone un modo nuovo di abitare la scena visiva. L’abbiamo incontrata per parlare di identità, corpo e immaginazione.
Aurora, partiamo da una domanda semplice: quando hai capito che volevi fare la modella?
“Non è stato un colpo di fulmine. È successo lentamente. Un giorno ho visto una mia foto e ho sentito che diceva qualcosa che io non sapevo ancora dire a parole. È lì che ho capito che il mio corpo poteva essere anche un linguaggio.”
C’è qualcosa che ti sorprende ancora nel tuo lavoro?
“La fragilità che si crea quando la macchina fotografica si accende. Ogni shooting è un dialogo, e non sempre sai come andrà. A volte ti scopri diversa, ed è lì che avviene qualcosa di vero.”
Lavori molto in Italia. Cosa ti lega a questo Paese?
“L’Italia ha un rapporto viscerale con l’estetica. È ovunque: nelle strade, nella luce, nei silenzi. Qui ho imparato che la bellezza può essere anche imperfetta, improvvisa, e per questo autentica.”
Il tuo corpo è al centro del tuo lavoro. Come lo vivi nel tempo?
“Ho imparato a non pensarlo solo come immagine. Il corpo è anche memoria, storia personale. Mi interessa come cambia, come si affatica, come si libera. È il mio archivio, non solo il mio biglietto da visita.”
Hai mai avuto momenti in cui ti sei sentita fuori posto nel mondo della moda?
“Molti. Soprattutto quando il sistema cerca di semplificarti, etichettarti. Ma credo che l’identità sia una forza se te ne prendi cura. Io non voglio adattarmi. Voglio ampliare lo spazio in cui posso esistere.”
Hai uno stile molto riconoscibile. Quanto c’è di tuo nelle immagini che fai?
“Tutto. Anche quando seguo una regia precisa, cerco sempre un gesto, uno sguardo che mi appartenga. Altrimenti è solo una bella foto, non un incontro.”
Come ti relazioni con i social media?
“Li uso, certo, ma non li vivo come una vetrina. Cerco di mostrarne anche i margini, i silenzi, non solo la superficie. L’algoritmo ama l’ovvio. Io no.”
Cosa pensi della crescente presenza dell’AI nel mondo dell’immagine?
“Mi incuriosisce, ma mi fa anche paura. Un volto generato può essere perfetto, ma manca di vissuto. Io voglio che la mia immagine racconti qualcosa che resta. E l’unicità non si simula.”
Hai mai pensato di esporti in modo più diretto, come fanno alcune modelle su OnlyFans?

“Non è il mio linguaggio. La sensualità per me è sottinteso, è ritmo, è tensione poetica. Rispetto chi fa quella scelta, ma io cerco una nudità più sottile, più mentale.”
E il futuro? Come immagini il tuo ruolo tra qualche anno?
“Mi piacerebbe diventare una figura ponte. Tra culture, tra generi, tra generazioni. Voglio aprire spazi, non solo occuparli. L’immagine è solo l’inizio.”