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Tra i volti più interessanti della fotografia contemporanea italiana, Lucy e Gina si sono affermate come una coppia creativa che unisce arte, corpo e relazione. Scattano spesso insieme e si muovono tra fotografia fine art, moda indipendente e progetti visivi sperimentali. Le abbiamo incontrate in uno studio romano, tra tessuti grezzi e luce naturale, per parlare del loro percorso condiviso.
Come avete iniziato a posare insieme?
Gina:
“In realtà per caso. Un’amica fotografa ci ha chiesto di posare per un progetto sul desiderio. Era la prima volta davanti alla camera, insieme. È stato potente. Da allora non abbiamo più smesso.”
Lucy:
“Abbiamo capito che il nostro legame dava qualcosa in più all’immagine. Non si poteva fingere. Non era recitazione. Era intimità vera.”
Qual è la vostra dinamica sul set? C’è un ruolo dominante?
Lucy:
“Dipende dal giorno. A volte sono più istintiva io, a volte lo è Gina. Ma non c’è una gerarchia. Ci ascoltiamo molto. Sappiamo leggere i silenzi.”
Gina:
“E anche i limiti. Sappiamo quando una posa è troppo, quando una richiesta non ci fa stare bene. Il rispetto è parte del nostro linguaggio.”
Quanto di personale c’è nelle immagini che fate?
Gina:
“Tantissimo. È il nostro corpo, il nostro sguardo, la nostra relazione. Non interpretiamo una coppia: lo siamo.”
Lucy:
“Ma non è solo romanticismo. A volte c’è tensione, fatica, identità in conflitto. Tutto questo finisce nelle foto, ed è giusto così.”
Vi è mai stato chiesto di “esagerare” la vostra relazione per vendere?
Lucy:
“Sì, più di una volta. C’è ancora chi vuole sfruttare l’immagine queer come esotismo, come provocazione. Noi diciamo no.”
Gina:
“Il nostro amore non è un trucco da set. È politico, è quotidiano. Se ci fotografi, devi accettarlo per quello che è.”
Vi sentite parte della comunità LGBTQIA+ nella moda?
Gina:
“Ci sentiamo connesse, ma non sempre rappresentate. C’è ancora molta estetica queer senza corpi queer reali dietro.”
Lucy:
“Noi cerchiamo di esserci. Con il nostro linguaggio, il nostro modo di stare nello spazio, senza filtri.”
Avete un’estetica molto coerente. Lavorate con una visione comune?

Lucy:
“Sì. Amiamo la pelle naturale, le luci basse, le pose morbide. Ma anche l’ambiguità, l’ironia. Nulla di troppo scolpito o patinato.”
Gina:
“Lavoriamo con fotografi e fotografe che ci ascoltano. Altrimenti preferiamo dire di no.”
Che rapporto avete con la nudità?
Gina:
“Sereno. La nudità è parte del nostro modo di raccontare vicinanza. Non è mai gratuita.”
Lucy:
“È una forma di fiducia. Non verso chi guarda, ma tra di noi. È come dire: sono qui, così come sono.”
Vi hanno mai proposto OnlyFans?
Lucy:
“Sì, ovviamente. In molti lo danno per scontato quando sei una coppia queer e posi nuda.”
Gina:
“Ma non è il nostro codice. Non ci interessa vendere l’intimità. Preferiamo proteggerla. Anche quando la condividiamo visivamente.”
Dove vi vedete tra cinque anni?
Lucy:
“In una casa con giardino, magari. Con uno studio tutto nostro. Dove fare arte, senza mediazioni.”
Gina:
“E dove invitare altre modelle, altri artisti queer, per creare insieme. Una sorta di rifugio creativo.”
Lucy e Gina ci salutano con lo stesso sorriso con cui si guardano quando posano: non serve che si parlino. Il loro corpo racconta già tutto. È così che si fa arte, quando si è parte viva di ciò che si mostra. Non è interpretazione. È presenza.